My stealthy freedom non mi convince


Attenzione:

prima di scagliarsi contro questo post si noti bene che:

  1. il velo deve essere una libera scelta, sia indossarlo che non indossarlo;
  2. non, e ripeto, non sono una sostenitrice della legge del velo obbligatorio;
  3. sono dalla parte dei movimenti civili femminili;



My stealthy freedom non mi convince

Masih Alinejad è il nomignolo di Masoumeh Alinejad-Ghomi, giornalista iraniana e attivista politica. 

Masoumeh è uno dei nomi più religiosi che ci siano, ironia della sorte, significa “innocente” ed è il l’appellativo di rispetto reverenziale per Fatima, la figlia del profeta.

Alinejad è stata giornalista parlamentare fino al 2005 circa e autrice di molti articoli critici sulle spese e presunte tangenti nel parlamento iraniano.
Uno di questi articoli è stato fortemente criticato dal governo ed è stata allontanata dal suo incarico.

Nel 2009 dopo le proteste del movimento verde a cui ha partecipato Alinejad, il governo ha iniziato una serie di arresti e pressioni tra i partecipanti. Per paura di essere imprigionata, Alinejad lascia l’Iran.

Per i non addetti ai lavori: 

il movimento verde è stata una protesta contro i brogli elettorali che hanno portato alla rielezione di Ahmadinejad. Neda è una ragazza che è stata uccisa dalla polizia durante la protesta, l’abbiamo vista anche nei nostri telegiornali, ricordate? 

Apre nel 2014 my stealthy freedom, la mia libertà clandestina, sui social quali Facebook, Twitter, Instagram e così via. L’obiettivo è sfidare la legge del velo obbligatorio invitando a togliere il velo e sfidare le autorità.

I problemi che riscontro sono:

  1. Le traduzioni ad personam
  2. video click bait
  3. obiettivo chiaro, mezzi (il)leciti



Le traduzioni ad personam

Nei vari media la descrizione dei video o delle foto è sempre doppia: una per gli iraniani in persiano, una per gli stranieri in inglese e/o francese. Solo che la descrizione in persiano è una, quella per gli stranieri è un’altra.

Esempio: 









In persiano scrive: 
Quelli che dicono che tu debba rispettare il nostro credo religioso,  (ecco) tre uomini armati che in città fermano dei ragazzi giovani per aver suonato un po’ di musica, dobbiamo rispettare questo stato che ha una mentalità come Daesh?

 
داعشی, ha detto proprio Daesh.

E di esempi di traduzioni molto libere ce ne sono a tonnellate. Lo stile è questo, un messaggio che sia accattivante per gli iraniani, un altro per gli stranieri che non sanno il persiano.


Video clickbait

Il video che segue la descrizione di cui ho parlato qui sopra non rispecchia affatto quello che ci si aspetterebbe. Tre uomini armati entrano in scena, è vero, ma non si vede chissà quale terribile punizione. Si sentono solo delle persone dire: lasciateli suonare. 

Infatti nella quasi totalità dei casi dei video e delle foto postate, non c’è mai il dove e il quando. Non si sa in che città, in che data, non c’è un contesto, niente. Bisogna fidarsi della descrizione iperbolica. 

Un altro caso è questo: 

“In Iran, the police attacked a wedding celebration and separated women from men.”


Nel video non si vede questo attacco della polizia. Si vedono solo delle donne che si muovono, spoiler - a capo scoperto -, musica ad alto volume e basta. Una voce racconta di questo attacco. Anche qui, la prova video dell’attacco non c’è. Bisogna sempre fidarsi sulla parola. 

Siccome a un matrimonio in Iran ci sono stata, posso raccontare la mia esperienza, che non farà statistica ma è un altro spaccato della società: i salari della polizia sono bassi e per arrotondare vanno a bussare a ogni sala per matrimonio, sapendo di trovare una festa mista, per farsi dare una mazzetta per tacere sulle regole infrante. 

Non sto dicendo che è giusto, ma la polizia si ferma alla porta e generalmente i padri dei coniugi va e allunga la mancetta. Non entrano i militari sparando in aria.

Obiettivo chiaro, mezzi (il)leciti.

Alinejad ha un obiettivo chiaro: l’abolizione del velo obbligatorio. I mezzi con cui ottenerlo sono stati criticati da molti analisti e giornalisti iraniani, per esempio Azadeh Moaveni.


Alinejad non sa bene cosa vuole dagli stranieri: prima dice che dobbiamo protestare anche noi, andare in Iran senza velo, sfidare la polizia, costringere i politici stranieri ad andare in Iran a chiedere l’abolizione del velo. Ha chiesto formalmente alle italiane di dire alla Mogherini di andare da Zarif senza velo e spingere per abrogare la legge. Ma è riuscita anche a dire esattamente dopo questo che le iraniane non hanno bisogno di nessuno, che sono forti e ce la fanno da sole. 

A voi le conclusioni. 

Per i non addetti ai lavori: 


la protesta del velo bianco da sventolare in segno di protesta è stato stabilito da Alinejad il mercoledì.

Alinejad si definisce in esilio, ma è un esilio volontario. Non c’è stato un decreto di espulsione, è scappata all’estero per evitare l’arresto. Giusto. Al contempo però chiede alle iraniane in Iran di sfidare la polizia rischiando il carcere che lei ha evitato scappando. Non è un po’ ipocrita? Avete presente Mandela? Una vita in carcere per le sue idee. Non è andato a Londra chiedendo agli altri sudafricani di sfidare l’apartheid per interposta persona.

Non ultimo, la cosiddetta icona delle ultime proteste in Iran, Nargess Hosseini, è stata inglobata contro la sua volontà nel movimento di Alinejad.

Dice Hossini in un’intervista: “I wanted to disassociate my actions from Ms. (Masih) Alinejad’s campaigns. I chose Monday, because for me Mondays continue to be Green.”

Qui in persiano:

چرا روز دوشنبه را برای این حرکت اعتراضی انتخاب کردی؟

چون من نمیخواستم چهارشنبه این کار را بکنم. میخواستم کاملا از حرکت خانم (مسیح)علی نژاد جدا باشم. برای این دوشنبه را انتخاب کردم که دوشنبه برای من هنوز که هنوز است دوشنبههای سبز است.

Qui in persiano: http://ir-women.com/16103


Peccato che Alinejad se ne sia intestata la maternità, abbia applicato il suo logo “my stealthy freedom” alle foto e ai video di Hosseini. Un atto gravissimo, a mio giudizio. 

Per i non addetti ai lavori:

Hosseini ha scelto il lunedì, invece del mercoledì, per dissociarsi da Alinejad perché lei ha agito da sola, spontaneamente e appartiene al movimento verde, non a my stealthy freedom.


Conclusione

L’obiettivo di Alinejad è giusto: il velo deve essere una libera scelta delle donne. 

Il problema è il chi e il come. Alinejad sembra molto concentrata nella personalizzazione della lotta, il suo nome e la sua faccia sono ovunque. Inoltre, chiedere e spingere le donne che rischiano veramente il carcere dalla sua postazione a Londra è ipocrita. Intestarsi la lotta di Hosseini dopo che la stessa ha esplicitamente detto che non vuole essere associata con Alinejad è un atto che dovrebbe mettere la parola fine sulla credibilità della giornalista.



Per ulteriori approfondimenti: 
Azadeh Moaveni, How the Trump Administration Is Exploiting Iran’s Burgeoning Feminist Movement

https://www.newyorker.com/news/news-desk/how-the-trump-administration-is-exploiting-irans-burgeoning-feminist-movement

Dario Ornaghi, Proteste del velo: «Si ha paura di scoperchiare il vaso di Pandora». 
Con Anna Vanzan, autrice di "Le donne di Allah", parliamo del moto di rivolta femminile che attraversa al momento l'Iran

https://www.tio.ch/estero/attualita/1239782/proteste-del-velo---si-ha-paura-di-scoperchiare-il-vaso-di-pandora-

Di seguito l'intervista:

TEHERAN / MILANO - Ormai dall’estate scorsa, ogni mercoledì, molte donne iraniane indossano veli bianchi e, in alcuni casi, se li tolgono per strada in segno di protesta contro l’obbligo di indossare questo indumento vigente nella Repubblica islamica. Il tutto documentato con foto postate sui social.
Da inizio gennaio, tuttavia, questa ribellione ha guadagnato una grande visibilità internazionale. Solo la scorsa settimana i media di tutto il mondo hanno per esempio riportato la notizia dell’arresto di 29 donne che protestavano così. Ad Anna Vanzan ‒ iranista, islamologa e autrice di “Le donne di Allah - Viaggio nei femminismi islamici” ‒ abbiamo chiesto che cosa sia cambiato in un Paese in cui, dopotutto, da sempre c’è chi lotta contro l’obbligo di portare il velo.
«Fra le donne esiste un sentimento di rivalsa» - «Le proteste del mercoledì bianco si sono innestate sulla recente ondata di malcontento a livello economico e politico», ricorda l’esperta. Questa occasione di un’inaspettata attenzione internazionale, unita al sentimento di rivalsa per le tante promesse non mantenute e alla difficoltà a far quadrare i conti motivano queste donne e le fanno sentire «più forti», spiega Vanzan. «La situazione, sempre in evoluzione in Iran, ha preso una piega particolare», sottolinea.
Solo ramanzine per i veli striminziti e il trucco pesante - L’atmosfera sembra insomma essere propizia per qualche concessione anche perché Teheran, al momento, «ha altre priorità»: «Già da qualche mese il regime ha ammorbidito il suo atteggiamento nei confronti dell’obbligo del velo», ricorda l’iranista. Le multe e gli arresti per chi non si attiene a un abbigliamento sufficientemente modesto sono così stati messi da parte. Ora, alle donne che sfoggiano veli grandi «come fazzoletti» abbarbicati su teste «cotonate e colorate» che svettano sopra a volti «pesantemente truccati» si preferisce propinare la vecchia ramanzina di Stato personalizzata sulla bellezza dell’hijab, il velo islamico.
«Si ha paura di scoperchiare il vaso di Pandora» - Più in là di così, però, è difficile che ci si spinga, valuta l’esperta: «Spero di sbagliarmi, ma nei prossimi anni è più facile che si arrivi a un rilassamento generale dei controlli che all'abolizione dell’obbligo di indossare il velo in pubblico», afferma. La strategia della «pentola a pressione», del resto, funziona «da anni»: «Quando c’è troppa tensione sociale il regime la allenta concedendo una valvola di sfogo», spiega Vanzan. L’imposizione del velo sarà invece «dura a morire»: «Si ha paura di scoperchiare il vaso di pandora ‒ continua ‒: se si cede su quel punto si sarà poi costretti a fare altre concessioni».
«A funzionare è l’ammutinamento quotidiano» - Le proteste contro il velo, iniziate «subito dopo la rivoluzione», hanno quasi 40 anni. Come si sono evolute? «In questi anni ce ne sono state varie, di maggiore o minore successo ‒ spiega la nostra interlocutrice ‒. Tuttavia, quella che sembra essere stata più efficace finora è una sorta di ammutinamento quotidiano, ripetuto, individuale (ma che diventa collettivo) in cui le donne si “ritagliano”, è proprio il caso di dirlo, delle libertà: riducono i veli rendendoli spolverini sempre più striminziti, leggeri e colorati».
A ciascun Paese il suo femminismo - «In Iran c’è una lunga storia di femminismo e le attiviste si rendono conto che, avendo problemi specifici, anche la loro strategia per risolverli non può essere quella messa in pratica a Washington piuttosto che a Roma», sottolinea Vanzan. «Dev’essere confezionata sulle esigenze specifiche della realtà locale ‒ continua ‒ e, da questo punto di vista, le iraniane sono sempre state molto brave nel cambiare in continuazione la strategia a seconda della situazione socio-politica del loro Paese».
Influenza dall’estero criticata - Le autorità iraniane insistono spesso sul fatto che queste “proteste del velo” siano fomentate dall’estero. Quanto c’è di vero? «In qualche misura è così ‒ conferma Vanzan ‒: le iraniane della diaspora, che hanno più libertà, lanciano infatti campagne che poi vengono seguite anche all’interno di Paese». Fra di esse, c’è per esempio la celebre pagina Facebook “My Stealthy Freedom” (“La mia libertà clandestina”). Il problema, continua la docente, è che chi vive all’interno dei confini della Repubblica islamica può subire conseguenze più gravi e trarre più danno che beneficio da questi movimenti: «Queste campagne sono state criticate da diverse attiviste iraniane per i diritti delle donne, che sottolineano come esse convoglino troppa attenzione sul tema dell'abolizione dell’obbligo del velo facendo invece dimenticare obiettivi più importanti», conclude.



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